Settimana scorsa ho avuto il piacere e, devo ammettere anche l'onore, di intervistare il regista e giornalista Rai Gilberto Squizzato. L'ho avvicinato a seguito di un interessante dibattito presso la sede gallaratese dell'Acli (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), durante il quale il noto regista ha presentato il suo libro "La tv che non c'è. Come e perchè riformare la Rai", e l'ho intervistao per il giornale online per cui lavoro, Varese7Press.
Durante la serata, e in particolare nel corso dell'intervista sono emerse cose davvero interessanti, ma qui voglio discutere del legame fra la politica e la televisione, e più in generale i media. Si può parlare di media liberi? Ormai è chiaro che ogni quotidiano, o quasi, ha un orientamento politico, e alle spalle degli interessi da difendere. Quindi è chiaro che ci saranno delle notizie meno frequenti di altre sulle pagine di un giornale o nei notiziari di una certa parte della tv, o comunque un tono diverso con cui queste verranno trattate.
Se possiamo "accettare" - anche se non di buon grado - che accada una cosa simile, perchè in fondo quando compriamo un quotidiano o ci sintonizziamo su un rete tv privata e commerciale sappiamo cha appartiene a qualcuno, non si può però tollerare che questo accada con la tv del Servizio Pubblico. Questa non dovrebbe forse appartenere al popolo? Non dovrebbe forse essere libera e senza vincoli? Ma è chiaro che, come spiega Squizzato nel suo libro, non lo è.
Chi decide i massimi vertici della Rai? Chi vigila sul regolare andamento del Servizio Pubblico? Alla fine la Rai è purtroppo proprietà dei partiti, della politica. E perchè le cose cambino, è la Rai che dovrebbe cambiare. Questo è in fondo, in estrema sintesi, quello che è emerso dal dibattito con Squizzato, al quale, poi, io ho posto nello specifico alcune domande. In particolare in questa sede ne riporterò due:
Da regista e giornalista, cosa pensa della Videopolitica, ormai sempre più video e meno politica? «In “Tv che non c’è” cito un passaggio del libro “Politica Pop” di Gianpietro Mazzoleni e Anna Sfardini, in cui si parla proprio del politainment, quel genere televisivo per il quale i politici, con i loro capricci, la loro vita privata, diventano materiale di intrattenimento. Il che non farebbe grande scandalo, se non fossero i partiti a controllare la tv. In questo modo diventa una sorta di pubblicità gratuita e indebita.»
Lei è anche docente al Master di Giornalismo dell’Università Statale di Milano. Quali sono i consigli che da ai Suoi studenti per fare giornalismo in un epoca in cui troppo spesso il giornalismo stesso è condizionato dalla politica e dalla pubblicità? «Quello che consiglio è cominciare a mettersi nell’ordine dell’idea di diventare imprenditori di sé stessi, perché la stampa, quella cartacea, conterrà sempre maggiormente il numero di lavoratori, l’accesso alle tv sarà sempre più condizionato dalla politica e la rete offrirà certamente qualche spazio, ma non garantirà il finanziamento pubblicitario. E dunque imprese e agenzie più o meno telematiche saranno ambito di lavoro delle nuove generazioni che hanno il diritto di guardare il mondo con i loro occhi e descriverlo. E l’Ordine dovrà tutelare queste nuove forme di comunicazione, se vorrà continuare a giustificare la sua esistenza. Perché è troppo facile tutelare solo quelli che sono già garantiti.»
Provo conforto a vedere che non sono l'unico a credere che la politica, nei termini della Videopolitica, non sia sempre un bene. C'è chi crede che avvicini alla politica coloro che ne sono sempre stati lontani, grazie al potere che le soft news hanno di attrarre la gente, e c'è chi, come me, crede che a piccole dosi non guasti, ma a lungo andare svilisca la politica e, quel che è peggio, offra ai politici una vetrina per una "pubblicità gratuita e indebita". Squizzato docet.
Le due domande sono tratte dall'intervista che trovate al link http://www.varese7press.it/?p=14069
Inoltre potete leggere anche l'articolo sulla serata e sul dibattito al link http://www.varese7press.it/?p=14065
Durante la serata, e in particolare nel corso dell'intervista sono emerse cose davvero interessanti, ma qui voglio discutere del legame fra la politica e la televisione, e più in generale i media. Si può parlare di media liberi? Ormai è chiaro che ogni quotidiano, o quasi, ha un orientamento politico, e alle spalle degli interessi da difendere. Quindi è chiaro che ci saranno delle notizie meno frequenti di altre sulle pagine di un giornale o nei notiziari di una certa parte della tv, o comunque un tono diverso con cui queste verranno trattate.
Se possiamo "accettare" - anche se non di buon grado - che accada una cosa simile, perchè in fondo quando compriamo un quotidiano o ci sintonizziamo su un rete tv privata e commerciale sappiamo cha appartiene a qualcuno, non si può però tollerare che questo accada con la tv del Servizio Pubblico. Questa non dovrebbe forse appartenere al popolo? Non dovrebbe forse essere libera e senza vincoli? Ma è chiaro che, come spiega Squizzato nel suo libro, non lo è.
Chi decide i massimi vertici della Rai? Chi vigila sul regolare andamento del Servizio Pubblico? Alla fine la Rai è purtroppo proprietà dei partiti, della politica. E perchè le cose cambino, è la Rai che dovrebbe cambiare. Questo è in fondo, in estrema sintesi, quello che è emerso dal dibattito con Squizzato, al quale, poi, io ho posto nello specifico alcune domande. In particolare in questa sede ne riporterò due:
Da regista e giornalista, cosa pensa della Videopolitica, ormai sempre più video e meno politica? «In “Tv che non c’è” cito un passaggio del libro “Politica Pop” di Gianpietro Mazzoleni e Anna Sfardini, in cui si parla proprio del politainment, quel genere televisivo per il quale i politici, con i loro capricci, la loro vita privata, diventano materiale di intrattenimento. Il che non farebbe grande scandalo, se non fossero i partiti a controllare la tv. In questo modo diventa una sorta di pubblicità gratuita e indebita.»
Lei è anche docente al Master di Giornalismo dell’Università Statale di Milano. Quali sono i consigli che da ai Suoi studenti per fare giornalismo in un epoca in cui troppo spesso il giornalismo stesso è condizionato dalla politica e dalla pubblicità? «Quello che consiglio è cominciare a mettersi nell’ordine dell’idea di diventare imprenditori di sé stessi, perché la stampa, quella cartacea, conterrà sempre maggiormente il numero di lavoratori, l’accesso alle tv sarà sempre più condizionato dalla politica e la rete offrirà certamente qualche spazio, ma non garantirà il finanziamento pubblicitario. E dunque imprese e agenzie più o meno telematiche saranno ambito di lavoro delle nuove generazioni che hanno il diritto di guardare il mondo con i loro occhi e descriverlo. E l’Ordine dovrà tutelare queste nuove forme di comunicazione, se vorrà continuare a giustificare la sua esistenza. Perché è troppo facile tutelare solo quelli che sono già garantiti.»
Provo conforto a vedere che non sono l'unico a credere che la politica, nei termini della Videopolitica, non sia sempre un bene. C'è chi crede che avvicini alla politica coloro che ne sono sempre stati lontani, grazie al potere che le soft news hanno di attrarre la gente, e c'è chi, come me, crede che a piccole dosi non guasti, ma a lungo andare svilisca la politica e, quel che è peggio, offra ai politici una vetrina per una "pubblicità gratuita e indebita". Squizzato docet.
Le due domande sono tratte dall'intervista che trovate al link http://www.varese7press.it/?p=14069
Inoltre potete leggere anche l'articolo sulla serata e sul dibattito al link http://www.varese7press.it/?p=14065